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Ormai avevo preso la mia decisione: appendere le corde vocali al chiodo, voltare pagina, archiviare quella favola definitivamente.
Ma prima dovevo aiutare degli amici a chiudere il loro personalissimo cerchio: per festeggiare il compleanno di Cristian, gli I. decisero di organizzare l’ultimo concerto, in cui avrebbero suonato tutti i loro pezzi e presentato il disco, prodotto mesi prima.
Per l’occasione, assieme ad altri, ho prestato la mia voce in tre brani: non mi è mai capitato, se si esclude qualche sporadica eccezione, di cantare dei pezzi non miei; si è trattato di un incombenza molto più complicata del previsto, anche sul piano meramente tecnico, oltre che emotivo.
Sono stato costretto a studiare i suoi accenti e le metriche, arrivando scherzosamente a maledirlo, con il sorriso sulle labbra e le lacrime agli occhi, per i passaggi più ostici.
Una delle sere più tragiche ed impegnative di sempre, ma non posso che ringraziare G., P. e C. per l’opportunità concessami.
Giurai a me stesso, oltre che a Cristian, che quella sarebbe stata l’ultima volta in cui avrei gridato dentro ad un microfono.
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E’ difficile rispondere con un ‘no’ secco a certe richieste; non esiste il tasto ‘eject‘ per catapultarsi fuori, in una mossa, da quello che in sostanza è stato il tuo mondo per una buona fetta di vita.
Dovevo ancora saldare due debiti.
Non potevo comportarmi diversamente, non sarebbe stato giusto: registrai molto volentieri un pezzo per il disco degli F. L., per poi cantarlo dal vivo il giorno dell’uscita ufficiale.
Mancava un solo dettaglio: anni addietro i C. mi proposero una collaborazione per una loro traccia, lunghissima.
Mi presentai con più righe del necessario, e fummo gioco forza costretti a scegliere le parti da utilizzare: la mia attenzione cadde su un segmento finale del testo, un’unica frase ripetuta all’infinito negli ultimi due minuti della canzone.
V., tra le persone più sincere che ho conosciuto grazie a questo gioco, ha insistito parecchio per portare dal vivo ‘De Profundis‘: è accaduto durante la quarta edizione del ‘Remember’.
– This is my requiem
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Per decine di volte ho avuto l’impulso quasi irrefrenabile di cestinare in blocco quanto scritto, eppure non l’ho fatto, arrivando sino alla conclusione nonostante un assillo perenne mi tormentasse in continuazione: perchè lo sto facendo? Che senso ha tutto questo?
Ci sono stati dei momenti in cui sembrava non esistessero delle risposte abbastanza valide a questi interrogativi tanto da giustificarne gli sforzi.
Come un disperato in procinto di cadere in un burrone, mi sono letteralmente aggrappato a due punti fissi, gli unici che la mia ragione è stata in grado di individuare nel deserto dello sconforto: nei mesi scorsi, lamentavo il fatto, tra me e me, di non aver mai trovato nessun maestro durante il cammino.
Con l’aiuto di una guida, è logico, si riesce a trovare più facilmente, in teoria, la retta via, rispetto ad un cieco costretto a brancolare nel buio.
Se si considera la morte come una delle prove più difficili, io ho avuto, in questo senso, due validissimi esempi su come sia possibile lasciare questo mondo a testa alta, con il coraggio e la dignità tipica degli eroi.
A loro, a Mauro e a Cristian, va il mio omaggio più sincero; gran parte dei miei pensieri quotidiani è dedicata a loro: mi hanno mostrato che non esiste paura invincibile.
Sono sicuro che, anche attraverso la lezione che mi hanno impartito, ma non solo, mi saranno vicini quando arriverà il mio momento.
Lo considero un dono, e queste righe rappresentano un timido, patetico tentativo di ribadire l’infinita stima che provo nei loro confronti.
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Ho ripreso a leggere i diari di Jack Kerouac, dall’inizio, nonostante fossi arrivato già a metà del volume che li raccoglie: pensavo mi sarebbe stato utile confrontarmi con i suoi metodi di scrittura, descritti con minuzia, oltre che con i propositi che lo spingevano ad insistere nella stesura delle sue opere principali.
Cercavo un bagliore da seguire in questo tunnel buio in cui non intravedevo l’uscita, una scusa per procedere.
Trovai una frase, che diventò la consolazione per i miei dubbi:
‘Se l’uomo comune, l’uomo che lavora e sta zitto, elemento che lo rende tutt’altro che comune, se, quindi, la categoria generica degli uomini dovesse scrivere tutti i suoi pensieri, o anche solo un frammento di essi, che universo letterario avremmo!’
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Mai come ora, in misura esponenzialmente maggiore rispetto al passato, per via degli ultimi prodigi della tecnica e dell’informatica, abbiamo la capacità di descrivere nel dettaglio i momenti più importanti, al pari di quelli più irrilevanti, delle nostre esistenze, ed estenderli immediatamente, cosa assai più stupefacente, ad una platea potenzialmente infinita di spettatori, noti e ignoti, i quali si trovano quindi nella condizione di poter sfamare la loro morbosa curiosità con fette succulente del nostro quotidiano.
Date, nomi, fotografie, luoghi, emozioni: offriamo in pasto noi stessi con spensieratezza disarmante.
Potrei ammettere senza grossi problemi, sarebbe peraltro del tutto credibile, che quanto ho riportato sino a questo momento non è la mia storia, bensì quella di un ignaro utente di FB che ho seguito ossessivamente nelle sue disavventure.
Il giochetto si è concluso una mattina di qualche mese fa; questo è l’ultimo post apparso sul profilo:
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Ciao mà, ti scrivo oggi dopo tanto tempo, spero non te la sia presa; lo so, mi capita di fare dei lunghi periodi in cui sembra quasi che mi dimentico di te, ma tu sai altrettanto bene che in realtà ti penso spesso e volentieri, e l’unica cosa che al momento ci divide è la distanza, perchè altrimenti non ci sarebbe bisogno di queste righe e di tutto il resto, ti parlerei guardandoti dritta negli occhi, senza artifici inutili.
In realtà sono molto occupato con le mie faccende, ho mandrie di incubi da tenere a bada, l’allevamento va meravigliosamente alla grande, e un po’ come capita a tutti noi, devo sfangarmela da alcuni contrattempi, nulla di serio, è fisiologico, fa parte del gioco, e il tempo delle lacrime facili è finito da un bel pezzo.
Sono un adulto ora, mi devo prendere le mie responsabilità, a testa alta e con il culo forte, come dicono da queste parti.
Dovresti vedere quanto son bello oggi, io mi sento così almeno, e me lo faccio bastare, così non si corrono rischi, con le delusioni e tutte le altre cose legate alle aspettative che ci facciamo sugli altri; siamo noi che le nutriamo colpevolmente fino all’eccesso, fino a farle diventare spaventosamente pachidermiche e poi ad un certo punto ci accorgiamo di non saper più dove metterle, da quanto sono ingombranti. Ho chiuso con quei casini, ne sono uscito fuori.
C’ho addosso una bella camicia, lo sai che non ne uso spesso, e un paio di pantaloni puliti, della mia taglia, e non quella roba orribile larga più del triplo del necessario; saresti fiera di me.
Chissà a cosa pensavi quando mi cullavi, mi prendevi in braccio e mi facevi ridere; chissà che futuro ti immaginavi per me, chissà che futuro ti immaginavi per tutti noi, in realtà.
Io gioco diversamente, ho cambiato strategia: non mi immagino più niente di niente, è molto più comodo. Non mi viene nemmeno così tanto difficile: la fantasia l’ho persa un po’ per scherzo e un po’ perchè son stato un grande imbecille, lo ammetto, diversi anni fa; l’ho barattata per un kit super accessoriato di certezze made in China che sul più bello però si sono rotte e di conseguenza ora sto cercando un’alternativa, l’ho ordinata un po’ di mesi fa su Amazon, spero non ci siano casini con la dogana, perchè il pacco non è ancora arrivato e il venditore, un tipo serio, ha un botto di feedback positivi e giusto qualche lamentela, ma veramente poche di tanto in tanto, mi dice di stare tranquillo che è in contatto con i tizi del corriere e ormai si tratta di pochi giorni.
Spero non passino proprio ora che ho deciso di spostarmi da casa per un po’; da quanto ho sentito dovrebbero lasciarmi un avviso, così poi quando torno mi presento direttamente da loro e mi consegnano il pacco di persona e si risolve tutto.
Quindi ho deciso che vengo a farti visita, per vedere un po’ come te la passi, ti porto anche un mazzo di fiori, ok?, ma per favore, per favore, non fare la faccia seccata e per favore non rimproverarmi appena sbuco dalla porta: per una volta non metterti problemi, stai tranquilla, è tutto apposto; qui a casa è tutto in ordine, l’uccellino ha cibo sufficiente per una settimana, ho già fatto i biglietti per il viaggio e tra pochi giorni potrò finalmente riabbracciarti, così parliamo di un sacco di cose e mi dai qualche consiglio perchè su alcune questioni, è inutile, mi sento ancora troppo impreparato. L’avresti mai detto? Che sarei di nuovo venuto a chiederti qualche consiglio, così come facevo da bambino?
Quindi mà, sto arrivando, ti mando questa e-mail, butto la spazzatura e sono tutto tuo.
E per favore mà, dico sul serio, non fare la tua solita faccia seccata quando mi vedi arrivare, che poi ci rimango male. E’ tutto ok mà, se parto significa che sento che posso permettermelo, che è il momento giusto, insomma. Se no non l’avrei mai fatto no?
Ok?
Ti mando un bacio mà .
A tra poco.
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Per tentare di riprendere in mano le nostre esistenze, è necessario ridare il giusto peso, per quanto possibile, ad ogni singolo atto, anche a quelli che ci sembrano insignificanti ma che possono assumere in seguito un valore fondamentale: d’altronde, è quanto di più importante possediamo, ma talvolta non ce ne rendiamo conto.
Siamo i primi detrattori di noi stessi, ogni qualvolta ingabbiamo la nostra storia senza poesia, senza un briciolo di cuore, nelle griglie asettiche di un curriculum, che qualcuno leggerà superficialmente prima di spedirlo nel trita carta assieme a mille altri.
L’unica cosa che conta sembrano ormai essere le competenze e le esperienze professionali; ciò che le caratterizza e le distingue, il substrato in cui si sviluppano, ciò che in definitiva rende unico un individuo, in molti casi viene ignorato a priori.
Siamo chiamati a riempire delle caselle: pupazzi potenzialmente polifunzionali senza più passato che galleggiano come foglie secche sul mare maleodorante del presente, incapaci, è una conseguenza, di immaginare un futuro a tinte meno cupe rispetto a quello che ci propongono.
Il trucco c’è, e per una volta, si vede eccome: le luci della ribalta, l’attenzione generale, è concentrata su delle celebrità create ad arte, sul campione di turno, sull’emblema del successo.
Ai poveri, agli sfortunati, ai comuni mortali non rimane altro che un misero spicchio di ombra in cui agire, come topi, sognando furtivamente una vita proibita; un’illusione perpetua, la carota penzolante che muove il culo di miliardi di asini che scalpitano, perennemente insoddisfatti, sulla via del macello.
Erodono magistralmente il terreno da sotto i nostri piedi ogni qualvolta ci convincono del fatto che siamo banali, insulsi, scialbi.
– A chi credi possa interessare ciò che hai da dire?
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Preoccuparsi, in anticipo, sul numero di lettori che uno scritto riuscirà ad attirare su di se è, a mio avviso, il modo peggiore per incominciare un’avventura del genere o, fa lo stesso, il modo migliore per alimentare l’inattività dilagante che appesta sistematicamente centinaia di migliaia di persone, soprattutto in questa parte del globo.
Siamo ormai addestrati a lasciar fare ai professionisti vari, agli unti dalla sapienza assoluta, ai geni presunti, o riconosciuti all’unanimità dalla critica e dalle folle, alle stelle che brillano in esclusiva in un firmamento blindato ed elitario, scandito meccanicamente da mode, correnti, tendenze.
Non mi metto il problema.
Con queste righe ho solo gettato le fondamenta (come si fa con le case, con i palazzi): tutto quello che dirò o scriverò in futuro, a dio piacendo, come ripeteva il carissimo M., sarà una diretta conseguenza di quanto ho visto e fatto sino ad ora.
Se qualcuno dovesse chiedermi, magari indispettito da qualche affermazione particolarmente controversa per i propri canoni, ‘e tu chi cazzo sei per andare in giro a dire queste cose?‘, verrà immediatamente rimandato al primo punto di questo documento, il quale contiene gran parte delle informazioni che mi riguardano.
Non credo comunque, a prescindere dalla piega che prenderanno gli eventi, di aver sprecato il mio tempo in questi otto mesi: come si legge nell’introduzione italiana a ‘Storie sulla pelle‘ di Nicolai Lilin, ‘si dice che raccontare la propria vita serva a comprenderla‘.